Perché ho abbandonato Twitter per Mastodon (prima di Elon Musk)

Giuseppe Tripodi
Giuseppe Tripodi Tech Master
Perché ho abbandonato Twitter per Mastodon (prima di Elon Musk)

Elon Musk s'è comprato Twitter e molti utenti del social network non hanno preso bene la notizia: per questo, nelle ultime ore c'è stato un gran chiacchiericcio su Mastodon, visto da molti come una possibile alternativa a Twitter. (Se voleste cancellare del tutto il vostro account Twitter, vi basta seguire la nostra guida.)

Ecco, io su Mastodon ci sto da qualche settimana (ma sarebbe meglio dire che sto su Livello Segreto, ma ora ci arrivo) e, più o meno volontariamente, ho quasi abbandonato gli altri social network da allora.

E non so se Mastodon è davvero un'alternativa a Twitter: è una cosa diversa, molto diversa, e se può davvero rappresentare un'alternativa o meno dipende tutto da quel che cercate da un social network.

Cos'è Mastodon e cosa non è

Quindi per prima cosa proviamo a capire rapidamente cos'è Mastodon.

Mastodon non è un social network per come lo intendiamo comunemente: è più un software che un social network, nel senso che non esiste un solo Mastodon, esistono innumerevoli istanze di Mastodon.

Questo perché Mastodon è un software open source che può essere installato su qualsiasi server: chiunque può aprire un'istanza Mastodon e creare un "proprio" social network, al quale poi altri si possono iscrivere. Se avete familiarità con i siti web, vedetelo un po' come Wordpress: Wordpress non è un sito web, è una piattaforma per costruire siti web; allo stesso modo, Mastodon non è un social network, ma una piattaforma per costruire social network. Sto semplificando (e banalizzando), ma è per capirci.

Per questa ragione, si parla di social network decentralizzato: la più grande e più importante differenza da Twitter, Facebook, Instagram e tutti gli altri è che Mastodon non è di proprietà di nessuno. Non esiste un Mark Zuckerberg di Mastodon, un CEO che stabilisce le regole, perché ogni istanza di Mastodon è "autogestita" e i fondatori stabiliscono regole ed eventuali termini di moderazione.

Le istanze di Mastodon, però, possono comunicare tra loro, dando vita a Federazioni: il concetto di Federazione è probabilmente il più grande ostacolo da un punto di vista concettuale per capire come funziona Mastodon, ma in questo momento non mi interessa spiegarlo, poiché non è rilevante ai fini del mio discorso.

Se volete saperne di più sul conceto di Federazioni, vi rimando alla Guida al Fediverso di Mastodon.

Dulcis in fundo, ci sono altre due differenze fondamentali tra Mastodon e i social network che conosciamo.

  1. su Mastodon non c'è pubblicità e nessuno raccoglie dati personali per vendere advertising;
  2. su Mastodon non ci sono algoritmi di indicizzazione, l'ordine dei post è esclusivamente cronologico e nessun profilo viene spinto perché riceve più like o ricondivisioni. In altre parole, è praticamente impossibile diventare un "influencer", perché, al netto delle ricondivisioni, un profilo avrà sempre la stessa visibilità di tutti gli altri.

Fatte tutte queste premesse, nell'utilizzo quotidiano Mastodon è quasi identico a Twitter, con poche differenze sostanziali: i toot (si chiamano così i tweet di Mastodon) hanno 500 caratteri (invece di 280) e non è possibile ricondividere un toot aggiungendo un commento.

Cos'è Livello Segreto

Livello Segreto è un'istanza di Mastodon, quella a cui sono iscritto. È stata co-fondata da Kenobit (al secolo Fabio Bortolotti), che qualcuno potrebbe conoscere per i suoi streaming di retrogaming e per i concerti in cui suona i Game Boy.

Versione in cassetta di Stage 1, uno degli album di Kenobit. Foto via OverDrive

Ho ampiamente parlato di Livello Segreto in una puntata del Tech delle Cinque, il nostro podcast quotidiano: per saperne di più su questa istanza vi invito ad ascoltare la puntata, che vi lascio qui sotto, e a leggere il manifesto di Livello Segreto, dove c'è scritto tutto quel che dovreste sapere prima di iscrivervi.

Perché no e perché sì

Non voglio mentire, i social network canonici a volte mi mancano e ci sono due motivi per cui non ho cancellato i miei profili Twitter, Instagram e Facebook.

Per quel che riguarda Facebook, il motivo principale per cui ci rimango è il nostro gruppo Facebook, Smartworld Family Official, che per molti versi rappresenta quel che cerco in un social network: quel sentimento di gruppo, di persone che si conoscono e si scambiano consigli e pareri, una sentimento di appartenenza verso una piccola famiglia virtuale.

Per quanto riguarda Twitter e Instagram, invece, li utilizzo a mo' di rassegna stampa: molti giornalisti e attivisti che seguo continuano a comunicare su questi due social, che per me restano un ottimo modo per tenermi informato, anche senza l'intermediazione di una testata giornalistica.

Mi piace ascoltare le ultime notizie dalla live di un giornalista di cui mi fido, guardare le storie in cui vengono raccontate le ultime novità con maggior leggerezza rispetto alle pagine di un quotidiano.

Le mie Liste dicono tutto sul modo in cui utilizzo Twitter, che rimane uno strumento forse ancora ineguagliato per seguire giornalisti e politici senza troppi filtri di mezzo.

"Purtroppo" questi sono i vantaggi dei social network per come li conosciamo adesso: sono centralizzati, tutti sono lì, e per questo motivo se vuoi parlare con un'ampia platea è lì che devi stare. 

Perché lasciarli, allora? In parte, esattamente per lo stesso motivo.

Parlare ad un'ampia platea non è sempre quello che hai voglia di fare. Specialmente se parlare ad un'ampia platea si traduce in sgomitare per un pugno di like, costringersi ad interpretare un ruolo per essere più abbordabile. 

Si intenda: queste sono ragioni assolutamente personali, probabilmente condivise da molti altri, ma comunque riflessioni individuali. Per il lavoro che faccio, per il genere di persone che seguo e frequento online, mi sono reso conto che Twitter e Instagram – i social network che usavo più volentieri – erano diventati uno stressante palcoscenico.

Scrivere un tweet o pubblicare una story non era più comunicare un pensiero estemporaneo, ma un atto performativo, che come tutte le performance si portava dietro una certa dose di "ansia da prestazione": quel che ho scritto ha i toni giusti? È attuale? È un pensiero originale? Forse dovrei spiegarmi meglio per non essere frainteso? E come mi spiego meglio in 280 caratteri?

Mi si potrebbe obiettare che avere visibilità sui social non è una ragion d'essere e che, in fondo, era un problema mio, non di Instagram e Twitter, ma questo è vero solo in parte.

Perché Twitter e Instagram, per loro stessa natura, sono progettati per questo genere di dinamiche. Gli algoritmi di indicizzazione, che mostrano in cima i contenuti di maggior successo, non possono fare a meno di creare influencer e twitstar che si spartiscono il palcoscenico e, sotto, il mare di tutti gli altri utenti che sgomitano per avere attenzione.

Copertina del documentario Netflix The Social Dilemma

The social dilemma, il famoso documentario Netflix, è un buon punto di partenza per farsi un'idea del problema con i social network

E non è una questione di egocentrismo, ma di chimica: l'attenzione sui social viene percepita dal nostro cervello come una forma di ricompensa che, come il sesso, il cibo o le sostanze stupefacenti, genera dopamina, spingendoci a cercare ancora sensazioni simili. Anche per questo motivo è così difficile staccarsi dai social network.

E poi c'è un'altra ragione: per chi, come me, segue molto la politica sui social, Twitter è un luogo tossico. Ci si azzuffa e ci si azzanna per la stessa ricerca di attenzioni citata qui sopra, polarizzando il dibattito, creando fazioni e rinunciando all'approfondimento e alla complessità.

Tutte queste dinamiche sono note da tempo, ma non è un caso che siano arrivate sul web con i social network centralizzati, che delegano all'agoritmo la gestione del "dibattito pubblico".

I social network ci sono stati venduti come la massima espressione del web 2.0, quell'internet che avevamo imparato ad amare sui blog e sui forum, e nell'ultima decina d'anni ci siamo convinti che i forum, le community ristrette, non avevano più un senso d'esistere, perché Facebook e Twitter erano una gigantesca piazza che aveva spazio per tutti.

Le istanze di Mastodon mi hanno fatto capire che non è così: Livello Segreto, ad esempio, è una piccola community che condivide una serie di interessi e valori e proprio per questo è così accogliente e stimolante. È un luogo virtuale in cui è piacevole interagire, perché non c'è la frenesia dettata dalla FOMO (fear of missing out), non c'è quella forma di arrivismo tipico dei social network, si scrive e si chiacchiera serenamente, piano, con calma.

Uno screenshot dell'interfaccia web del mio profilo su Livello Segreto

È come stare in un piccolo paese: ci si conosce un po' tutti di vista e passeggiando per la piazza si ascoltano pezzi di conversazione, ci si scambia consigli musicali, cinematografici e videoludici, si parla del più e del meno. Non c'è un algoritmo a penalizzare o valorizzare quel che dici: pubblichi quando hai voglia o quando hai qualcosa da condividere, sapendo che non è richiesta una costanza giornaliera per essere visibile e non finire nel dimenticatoio.

E se non hai niente da dire leggi, ascolti, guardi quel che succede in giro.

È una bolla, certo, ma nel senso positivo del termine: a differenza di Twitter, dove trovarsi in una bolla implica una più o meno inconsapevole echo chamber, una community di poche persone che condivide un certo modo di stare al mondo non ha bisogno di darsi pacche sulle spalle a vicenda. E quindi c'è più tempo e spazio per parlare d'altro, per condividere solo per il gusto di condividere, per il piacere di chiacchierare, senza l'attesa spasmodica di un riconoscimento.

Certo, siamo pochi, e stare bene quando si è in pochi è sempre più facile.

Cosa succederà se Livello Segreto crescerà a dismisura? Si creeranno le stesse dinamiche competitive di Twitter? Non posso saperlo. E cosa succederà invece se rimarremo sempre gli stessi? Ci stancheremo di chiacchierare tra noi? Non posso sapere neanche questo.

Ma, per ora, sono contento di far parte di questo esperimento, di sentirmi a casa su un social network. Una sensazione che non provavo più da tempo, da ben prima che Elon Musk comprasse Twitter.