Perché l'Australia potrebbe essere il primo Paese a combattere l'anonimato online

In Australia si pensa a introdurre una legge contro l'anonimato online, obbligando le piattaforme a smascherare l'identità dei troll
SmartWorld team
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Perché l'Australia potrebbe essere il primo Paese a combattere l'anonimato online

Parte dall'Australia la proposta di un progetto di legge contro i troll. Il primo ministro Scott Morrison si è intestato una battaglia che punta a irrobustire – con profili a tratti innovativi rispetto ad alcune precedenti e recenti pronunce giurisprudenziali – la politica di contrasto della diffamazione attraverso i social network. Nella visione del capo di governo si configurerebbe addirittura una responsabilità delle piattaforme, con quest'ultime costrette a fornire maggiori dettagli per ricostruire l'identità di quegli utenti che pubblicano commenti denigranti l'altrui reputazione, cancellandone così l'anonimato online.

Anonimato online, l'impegno del primo ministro australiano

Il pacchetto normativo, sul quale il Parlamento si pronuncerà all'inizio dell'anno prossimo, prende atto del dilagante fenomeno dei profili fake – il cui scopo esclusivo è appunto quello di disseminare odio attraverso la tastiera di un computer o davanti a uno schermo touch di un dispositivo mobile – e della necessità di riportare entro la cornice della legalità una tematica sulla quale si era pronunciato di recente anche il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, arrivando a sostenere che «la disinformazione veicolata attraverso i social sta uccidendo le persone».

Altrettanto lapidario è il commento del primo ministro dell'Australia, che in una conferenza stampa televisiva ha affermato che «il mondo online non dev'essere un selvaggio west in cui bot, hater e troll si muovono liberamente e anonimamente con lo scopo di danneggiare le persone, restando di fatto impuniti».

Lotta all'anonimato online: pronto un sistema di reclamo

Il progetto di legge contro l'anonimato online si può riassumere in tre battute e prevede la creazione di un sistema di reclamo a beneficio delle persone che si ritengono diffamate da post sui social network: lo scopo, in particolare, è incentivare la vittima – mediante una semplificazione della procedura – a denunciare l'accaduto, portando in questo modo alla definitiva rimozione del contenuto incriminato. Il social network chiederà legalmente al diffamatore il consenso al rilascio dei suoi dati personali se quest'ultimo non provvede a cancellare il commento, e nell'eventualità del protrarsi del rifiuto da parte dello stesso diffamante, la piattaforma digitale potrebbe poi essere costretta, attraverso il cosiddetto "ordine di divulgazione delle informazioni dell'utente finale" introdotto dalla bozza legislativa, a fornire alla Corte Federale i dati personali del commentatore.

E ciò a prescindere dal suo effettivo consenso.

La responsabilità dei social

Il progetto di legge insiste soprattutto in un'altra novità: la responsabilità diretta dei social network, e ciò in aderenza all'incipit secondo cui «le piattaforme che hanno creato lo spazio virtuale devono curare il rispetto della legalità, rendendolo perciò sicuro». Una presa di posizione che, per stessa ammissione del procuratore generale federale Michaelia Cash, si pone come ribaltamento di un recente caso giudiziario, che ha stabilito – non con senza perplessità – che le aziende di media sono ritenute responsabili dei commenti pubblicati dagli utenti terzi, e questo varrebbe a prescindere da un'espressione conoscenza. La pronuncia dell'Alta Corte aveva infatti innescato un effetto domino, portando alcune società – come la CNN – a disabilitare la pagina Facebook personale in Australia. «È importante garantire a tutti di avere certezza su quale sia il soggetto responsabile dei commenti di terze parti», ha affermato Cash.

Nella visione della progetto di legge che punta a "smascherare" i troll che imperversano sui social, saranno proprio le piattaforme digitali a essere ritenute responsabili dei contenuti diffamanti ospitati all'interno delle proprie pagine. Di conseguenza, in assenza di una identificazione, saranno i social a pagare per il commento del personaggio protetto dall'anonimato online.

I primi commenti

L'iter legislativo prenderà consistenza a inizio 2022, data in cui il Parlamento sarà chiamato a discutere della proposta di legge. Allo stato attuale, mancano all'appello ancora diversi dettagli chiarificatrici, come ad esempio l'assenza di chiarimenti sulla gravità del contenuto diffamante e da qui, la configurazione dell'obbligo dei social di rivelare l'identità del troll. La certezza è che il pacchetto normativo interesserà soltanto l'Australia, ma non è detto che quest'ultima assurga in futuro a progetto pilota di un più ampio processo di revisione delle leggi sulla diffamazione e del contrasto dell'anonimato. La riforma è d'altronde mossa dall'incipit del primo ministro Scott Morrison: «se i contenuti diffamanti non sono ammessi nel mondo reale, alla stessa maniera non devono essere ammessi neppure nel mondo virtuale».

Il progetto di legge ha comunque già suscitato alcuni commenti. Il professore Michael Douglas dell'Università dell'Australia occidentale ha affermato che la legge contro l'anonimato online proposta dal governo è un «teatro politico». Fa eco anche Twitter, secondo cui qualsiasi mossa del governo australiano volta a reprimere gli account anonimi sarebbe inefficace e non riuscirebbe a ridurre la quantità di abusi perpetrati sulla stessa piattaforma.