
Star Wars Jedi: Survivor e la sindrome dei sequel più grossi
Più grosso non significa sempre miglioreStar Wars Jedi: Survivor è un bel gioco. È il classico sequel che espande un già ottimo primo capitolo, dal quale recupera la struttura per ampliarla in ogni suo lato, un po' come successo con Zelda: Tears of the Kingdom. Quando lo avvii sai cosa aspettarti: la storia continua, ci sono più nemici, più abilità, più ambientazioni (pure più grandi), più di tutto.
Gioco più grosso, però, non significa sempre gioco migliore. Insomma, non è un'equazione, un qualcosa di automatico. Non che Star Wars Jedi: Survivor non lo sia, altroché. Eppure, vi è mai capitato di star giocando ad un sequel di un titolo che avete apprezzato, e che, pur consapevoli delle migliorie, sentivate una sensazione strana? Una di quelle che vi dice "sì, è più bello, ma…" e a quel "ma…" non riuscivate a dare una risposta? Ecco, mi è successo con Star Wars Jedi: Survivor.
Solo che la risposta me la sono data.
La forza scorre abbastanza...

Star Wars Jedi: Survivor fa bene di tutto un po', ma non fa benissimo nulla. La grafica ad esempio è splendida su PS5, con luoghi imponenti, modelli particolareggiati e una solida illuminazione che dà valore a tutto. Le scene intermezzo godono di una messa in scena molto più convincente, molto più cinematografica, che nel capitolo originale si concentra perlopiù tutta nella fase iniziale.
Ciononostante, l'ottimizzazione è stranamente deficitaria, con una modalità prestazione che dà un colpo allo stomaco della pulizia, perdendosi pure in una fluidità ballerina, così come quella che prioritizza la risoluzione, la quale soffre di un frame-rate che scende sotto i 30 fps nelle situazioni più concitate.
Peccato, perché Koboh, uno dei mondi iniziali, è stupendo. Si lascia libero di esplorarsi, sembra dispersivo ma non lo è, con le sue cascate e i suoi piccoli anfratti che nascondono oggetti di personalizzazione nelle casse; con i suoi enigmi incentrati sull'utilizzo della forza; con i simpatici dialoghi tra i droidi, sui quali si è svolto un buon lavoro sulla caratterizzazione.
Eppure, be', manca qualcosa.
... ma non è abbastanza

I combattimenti sono un po' ripetitivi, sembra come se siano fermi a ciò che aveva offerto il primo capitolo. I potenziamenti sono i soliti, simili a ciò che avevamo già gustato in passato. È come vivere la stessa esperienza, più ampia e ricca, ma pur sempre la medesima per molti versi, almeno nella sostanza.
Sì, c'è un rampino. Del resto è un sequel, e nei sequel c'è sempre un rampino. Se non è il nuoto, be', è il rampino. E sia chiaro, funziona, ma c'è poco da sorprendersi in un rampino. Ci sono poi molti enigmi che strizzano l'occhio ai sacrari di Breath of the Wild, dal quale gli open world possono solo imparare.
Non mancano dei punti forti, sia chiaro. I valori produttivi nettamente maggiori hanno permesso di puntare più in alto nel level design, il quale offre più sotterranei che incentivano l'esplorazione.
Si spinge più nell'espressività, nella varietà della direzione artistica, nei contenuti, ma tutto in un'ottica di riempire un prodotto a cui sembra mancare quella spinta creativa che contraddistingueva l'originale.
La trama fa fatica a coinvolgere, non ci si sente parte del grande disegno di Star Wars, come invece accadeva in Fallen Order. Il tutto sembra strizzare l'occhio ad una grande caccia al tesoro, con un protagonista, Cal Kestis, un po' distaccato. Non lo si sente parte di sé, non ci si sente parte di lui.
Mettici il cuore
Dopo un'analisi introspettiva, ho capito che quello di cui soffre Star Wars Jedi: Survivor è di poca magia. Quando uscì Jedi: Fallen Order ne rimanemmo folgorati perché fu una novità, fu incredibile poter vivere un'avventura dalla forte componente narrativa nel mondo di Star Wars, dall'eccellente impatto scenografico e dai tratti somatici recuperati dalle produzioni From Software. E sapete, le sue imperfezioni facevano sognare: come sarebbe stato un suo seguito? Che livelli avrebbe raggiunto? La risposta di Jedi: Survivor arriva, ma è solo una risposta come un'altra, non ha la stessa magia.
Ma, indubbiamente, è un buon gioco.





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