All or Nothing: Juventus è la storia di un glorioso fallimento
All or Nothing: Juventus è una serie originale di Amazon Prime Video, parte dell'ormai celebre filone di racconti sportivi che ha già visto protagonisti alcuni dei più importanti club calcistici del mondo – Manchester City, Tottenham Hotspur e l'anno prossimo tocca all'Arsenal – più altre squadre appartenenti a sport differenti, come football americano, hockey e rugby. Questa serie in particolare narra le vicende della Juventus nella stagione 2020/2021, un'annata che si è rivelata piena di emozioni forti e intrecci interessanti. Dopo aver visto tutte le puntate mi sono fatto un'idea e sono pronto a parlarvene, facendo una sola premessa: è una grande serie che racconta una storia difficile, più di quanto non si possa pensare.
Fuori e dentro il campo
Il fatto è che il calcio sa essere crudele, fuori e dentro il campo di gioco. Lo ha imparato a sue spese Andrea Pirlo, che è il protagonista di All or Nothing: Juventus perché a lui si legano le sorti di tutta la narrazione.
La serie parte dall'agosto 2020, quando il giovane allenatore bresciano viene ingaggiato a sorpresa dal presidente Andrea Agnelli, per poi concludersi nel maggio 2021, quando l'esonero era ormai già imminente – con Max Allegri alla finestra. In mezzo ci sono tutti i momenti più importanti della stagione, con l'arrivo dei nuovi giocatori, le partite decisive, i momenti chiave e tutto il resto.
Il tono documentaristico della serie riesce a bilanciare perfettamente il rapporto tra campo e vita quotidiana, evidenziando la grande promiscuità tra i due ambiti. Le riprese degli allenamenti e delle partite si susseguono con quelle "rubate" negli spogliatoi o durante le riunioni della dirigenza. I toni enfatici delle interviste singole ai campioni più rappresentati vengono intervallate dai momenti in famiglia, che riescono a mostrarli sotto una luce diversa, più naturale, più umana.
Umanità
Il grande pregio di All or Nothing: Juventus è proprio questo, quello di riuscire a far vedere i giocatori, i dirigenti e lo staff tecnico da una prospettiva forse mai vista in Italia.
Le telecamere della produzione hanno colto alcuni istanti fondamentali per la stagione juventina, come i grandi sorrisi durante i pranzi di squadra, la preoccupazione malcelata dopo gli infortuni, le liti e i pianti in spogliatoio dopo le sconfitte più dure. Vedere la faccia di Cristiano Ronaldo dopo la partita di ritorno con il Porto, che segna la fine del cammino in Champions League della Juve, dice tutto su quanto lui tenga a questa coppa e quanto gli faccia male essere fuori dai giochi. Quel momento – a posteriori – spiega perfettamente perché sia "scappato" a gambe levate al Manchester United appena ne ha avuto la possibilità.
Ma non si parla, ovviamente, solo di CR7. Nella serie vengono presentati vari "personaggi", quelli su cui si concentrano maggiormente i riflettori: ci sono gli eterni Bonucci, Chiellini e Buffon, protagonisti consapevoli di molti dei momenti principali, ma anche il nuovo arrivato Chiesa, il bomber triste Morata, il simpaticissimo McKennie – l'anima "funny" della serie – e il mister Andrea Pirlo, che attrae tutta l'empatia dello spettatore, soprattutto dalla metà della serie in poi.
Ritmo
Il ritmo del racconto è quello giusto, molto dinamico, con una buona dose di momenti fuori campo che vanno ad arricchire la storia. Mi riferisco sia alle voci dei tifosi intervistati per strada o nei fan club, sia ai commenti dei giornalisti e agli spezzoni di trasmissioni radio, che fungono da spiegoni nei momenti di riepilogo.
Mi sono piaciute meno alcune scene "posate", in particolare quelle con Bonucci. Ho trovato stucchevole quasi tutto il racconto sacrale di Cristiano Ronaldo, forse l'unico che nella serie non si discosta minimamente dall'immagine mostrata sui suoi social: sembra un guscio d'uomo privo d'emozioni, riempito di frasi fatte e narcisismo, concentrato solo sul proprio successo personale. Una figura ingombrante, forse troppo per la Juventus.
Tecnica
All or Nothing: Juventus è un prodotto realizzato con massimo impegno. Lo sforzo produttivo mi è sembrato davvero molto alto, più di altre serie originali Prime Video viste di recente. Il lato tecnico è stato curato alla perfezione, con un'ottima regia, una fotografia eccezionale e un montaggio moderno, enfatico a tratti ma sempre appassionante.
Oltre alle immagini dei calciatori, colti nei momenti più disparati, sono piacevolissime le riprese di Torino e dello Stadium – spesso realizzate con i droni. Il contesto, per così dire, è stato reso alla perfezione.
Per questo e per gli altri motivi già detti, All or Nothing: Juventus è una grande serie, che parla di calcio ma non solo. Parla anche di passione, di emozione, di mentalità, e questi sono discorsi che possono capire tutti gli essere umani, non solo quelli che amano il calcio.
Cosa rimane
Quello che a me ha lasciato questa serie è soprattutto il lato umano del calcio, quello che appare negli spogliatoi prima e dopo la partita, quello che si mostra durante gli allenamenti, i pranzi, le cene, le riunioni. Sono questi i momenti in cui la squadra diventa squadra, in cui l'allenatore può intervenire sulla testa dei suoi ragazzi. Perché al di là degli schemi, delle tattiche e delle marcature, conta tantissimo la testa, conta soprattutto quella.
La stagione 2020/2021 della Juventus è un esempio fulgido di come un racconto possa cambiare, di come ci siano momenti chiave che fanno la differenza, nella testa e nelle gambe. All or Nothing: Juventus riesce a raccontarli, lo fa bene, e dà autorevolezza ad una vicenda che, alla fine, si rivela per quello che è: un glorioso fallimento. La faccia di Andrea Pirlo nell'ultima puntata racconta già tutto di un uomo che sa quale sarà il suo destino, purtroppo non più alla Juventus. La sua malinconia è riconoscibile, perché si è costruita di puntata in puntata, perché è stata vissuta dagli spettatori, al di là dei freddi risultati sul campo.
Il calcio è rimasta una delle pochissime forme di epica della nostra contemporaneità. Una serie come All or Nothing: Juventus serve a dare senso a quest'epica, a isolarne un pezzetto e conservarla, per poter poi rivivere quelle emozioni sportive (e non) in maniera amplificata.
Ed è una cosa che consiglio a tutti, perché l'esperienza vale assolutamente la pena di essere vissuta.