Lo Spietato di Netflix: ho visto uno Scamarcio come Di Caprio (recensione)

Giorgio Palmieri
Giorgio Palmieri
Lo Spietato di Netflix: ho visto uno Scamarcio come Di Caprio (recensione)

Guardando Riccardo Scamarcio rivedo la crescita, l'ascesa di Di Caprio: il primo con Tre Metri sopra il Cielo, l’altro con Titanic. Due pellicole diverse, su scala diversa, di intensità diversa, ma pur sempre di formazione adolescenziale. Ed entrambi gli attori, malgrado il loro aspetto bonaccione, sfruttato come mezzo caratterizzante, si sono evoluti verso orizzonti (anche) maturi. Ne ho preso atto alla Partita della Solidarietà, mentre sedevo su un piccolo spazietto dello Stadio degli Ulivi di Andria: c’era anche l’attore pugliese tra i calciatori improvvisati, che ha sfoggiato le sue abilità dialettali, più che calcistiche.

Poi, all'improvviso, qualche giorno fa, mi ritrovo Lo Spietato su Netflix, con nientemeno che Scamarcio in una veste criminale, reduce da Loro e Il testimone invisibile, film particolari, differenti dal solito cinema italiano, che pian piano si sta riprendendo ciò che è suo. Peccato che quello del noto servizio di streaming non mi abbia colpito come invece speravo – e lo speravo davvero.

La storia parte alla grandissima: vediamo il protagonista Santo Russo (Scamarcio, appunto) che osserva il Duomo di Milano quasi ossessionato, sceglie un orologio tra la sua costosa collezione, e poi si lancia in strada con una Lamborghini che più gialla non si può. Bello, diretto, senza fronzoli: con qualche inquadratura e qualche espressione ti fa capire di che personaggio si tratta. Purtroppo poi si perde in un lungo racconto della sua genesi, spiegandone l'infanzia, dai primi vagiti scellerati alle varie carriere delinquenziali, dalle sue origini calabresi al cambio radicale in quel di Milano degli anni ‘80, in modo più o meno didascalico.

C’è tanto poliziesco nel tono e nelle ispirazioni (il regista Renato De Maria, peraltro, ha lavorato a Distretto di Polizia e Squadra Antimafia), ma anche un po’ di ironia, un po’ di violenza e un bel po’ di inerzia. Le cose succedono ma il ritmo è altalenante, manca del brio, della vivacità, un qualcosa che possa dare spessore e profondità ad una manciata di eventi che non valorizzano al meglio l'attore nato tranese, perfettamente a suo agio nel protagonista, che quasi si percepisce il divertimento nel metterlo in piedi.

Il resto del cast convince, sebbene sia relegato ad una funzione davvero accessoria: bellissima e molto brava Sara Serraiocco, nella parte della protagonista femminile che cercherà di “purificare” Santo Russo.

Ciò detto, lo ripeto e mi duole ammetterlo, il film non mi è piaciuto granché: si lascia guardare come si lasciano guardare decine di altre produzioni Netflix, ma non nego di averlo visto a più riprese e che la trama non mi abbia rapito come avrebbe dovuto fare. Poteva e doveva raccontare qualcos'altro, qualcosa di più originale e profondo, qualcosa di più accattivante e serrato, viste le potenzialità. Eppure sono contento che esista, che ci sia stato dell’impegno nella realizzazione, anche perché esteticamente e musicalmente riesce a distinguersi. E sono contento per Scamarcio, un po’ perché è nato nella mia stessa città, un po’ perché credo possa vestire benissimo altri ruoli oltre ai soliti, e lo ha dimostrato, perché senza di lui probabilmente non avrei terminato la visione.

Non lo sconsiglierò né consiglierò, fate voi, ma non vi lascerò a bocca asciutta, senza nulla. Vi consiglio di vedere il trailer promozionale de Lo Spietato, che vede il mitico Giovanni Storti mentre cerca di insegnare il milanese a Santo Russo. Un siparietto simpaticissimo che mi rallegra ogni volta che lo riguardo: bisognava riprendersi fisicamente dal macabro spettacolo che fu il pre-show di Adrian, dove il secondo del celebre trittico comico pareva stanco, oltre che perso. La morale, dopo tutto questo? Inutile sprecarsi a ripetersi, a fare cose nelle quali ci sentiamo stretti, se possiamo dare al mondo qualcosa in più. Quando qualcuno si trova a proprio agio, lavora bene. Perché sperimentare, evolversi, fa bene. E se va male? Almeno possiamo dire, e dirci, di aver provato.

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