Fare videogiochi in Italia: intervista a Ubisoft per Mario+Rabbids Sparks of Hope

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Andrea Babich, lead narrative designer del nuovo Mario+Rabbids
Giuseppe Tripodi
Giuseppe Tripodi Tech Master
Fare videogiochi in Italia: intervista a Ubisoft per Mario+Rabbids Sparks of Hope

Durante il tour agli studi di Ubisoft Milano, abbiamo avuto l'occasione di fare una breve chiacchierata con Andrea Babich, lead narrative designer di Mario+Rabbids Sparks of Hope (avete letto la nostra recensione?) e del precedente Kingdom Battle. Andrea è una delle persone che ha lavorato fin dall'inizio al progetto Mario+Rabbids: gli abbiamo chiesto com'è stato, da storico fan Nintendo, poter lavorare con l'icona per antonomasia dei videogiochi, Super Mario. Di seguito la trascrizione della nostra intervista.

D: La prima domanda è un po' personale: stalkerandoti online ho trovato una canzone che hai inciso nel 2003 che si chiama Ti sarò devoto, Shigeru Miyamoto [Andrea ride], quindi posso solo immaginare l'amore che nutri verso Nintendo e non posso che chiederti come è stato lavorare su un brand come quello di Mario.

R: Non so se dovrei raccontarlo, ma mi fa molto ridere perché la prima ragione per cui io sono in Ubisoft è proprio per quella canzone.

Perché quella canzone l'ha beccata Davide [Soliani] su un forum mille anni fa e ha detto "Lui è un genio, deve lavorare con noi!". Poi in realtà sono passati anni prima di riuscire a propormi davvero come game designer, ma vabbè.

Tornando alla domanda, lavorare su Mario è stato enorme, all'inizio tanta incredulità, poi un grandissimo senso di responsabilità e di rispetto. E poi soprattutto – e questo è ancor più vero per questo sequel – senti la responsabilità non solo per quel che Mario è, ma anche perché devi capire come puoi dare qualcosa di nuovo a Mario dal lato Ubisoft, con questo nuovo brand che è Mario+Rabbids. 

Secondo me è lì la chiave, il vero momento fantastico ed emozionante è quando capisci che puoi portare Mario – insieme ai Rabbids – in luoghi dove non è ancora stato, in termini di emozioni, di scenari, di avventure, di quest, di combattimenti… Quando capisci che non solo lo puoi fare, ma che lo devi fare, è quel che ti viene chiesto, sia da Ubisoft che da Nintendo.

D: Mi aggancio a quel che hai appena detto perché la cosa che mi ha stupito di più di questa presentazione è proprio vedere l'amore dedicato al gioco, questi studi trasudano amore verso il progetto Mario+Rabbids.
Mi domando quindi come sia stato passare dal primo capitolo, che era un progetto piccolo, quasi esclusivamente italiano, nato da una manciata di persone intorno a un tavolo, al nuovo Sparks of Hope, che ha coinvolto 5 divisioni Ubisoft e fino a 450 persone che ci hanno lavorato su. Avete avuto problemi o difficoltà nel comunicare quel che volevate realizzare?

R: Lo sviluppo dei videogiochi è sempre problematico. Nel senso che lo sviluppo dei videogiochi è sempre un processo iterativo tra tantissime persone che devono parlarsi e dialogare per trovare punti di contatto, che devono poi superare dei processi di validazione molto strutturati.

Quindi aumentando le persone ovviamente diventa per forza più complicato. 

Se ha funzionato o meno lo lasceremo decidere ai giocatori ma per me, che ero una delle persone al tavolo di quel primo Mario+Rabbids, la cosa importante è stata che i "pilastri" del gioco venivano da delle persone che avevano una una percezione chiarissima di quel che doveva essere Mario+Rabbids Sparks of Hope.

Mario+Rabbids è a tutti gli effetti una nuova IP di Ubisoft e Nintendo, ha i suoi canoni, le sue regole, i suoi valori, e trasmettere a tutto il team allargato questi valori, questa percezione di quel che il gioco doveva essere è stato fondamentale per tutti quelli che erano originariamente intorno a quel tavolo. 

È stata una parte enorme del lavoro, che forse all'inizio è stata non dico sottovalutata ma sicuramente non prevista, e invece è stato davvero importantissimo riuscire a far passare la nostra idea di gioco. 

E dalle prime recensioni che leggiamo sembra che abbia funzionato.

D: Nintendo ha un modo di fare giochi che è diverso da quello di Ubisoft, almeno per le produzioni principali: com'è lavorare su un gioco con Mario+Rabbids Sparks of Hope, che deve essere godibile dal più piccolo dei bambini all'adulto navigato che è affezionato a Mario dagli anni 80?

R: Beh qui ci sono due aspetti da considerare, uno narrativo e uno di gameplay.

Per l'aspetto narrativo, il gioco per come l'abbiamo concepito ricalca molto la filosofia dei grandi classici di mezzi di comunicazione di massa moderni.

La questione di come si fa a parlare ad un bambino e ad un adulto allo stesso tempo esiste da tempo, c'è Disney, ci sono un tantissime produzioni simili che vivono per decenni, quindi in realtà esiste un solco già tracciato, anche abbastanza naturale, in cui ci si pone per riuscire a parlare a più pubblici con fasce d'età diverse.

La ricetta alla fine è avere dei messaggi molto chiari, dei personaggi che hanno una loro evoluzione emotiva, che non necessariamente dev'essere qualcosa di complicato da capire. Gli adulti coglieranno più sfumature, coglieranno un messaggio complessivo di fondo – anche profondo – che il bambino magari non riuscirà a capire, però c'è qualcosa per tutti.

Per quel che riguarda l'altro aspetto, quello di gameplay, in questo gioco è stata data una grandissima attenzione alla fruibilità anche da parte dei bambini.

In questo secondo capitolo c'è stata molta più attenzione in questo senso, è un aspetto su cui abbiamo lavorato moltissimo, molto più che nel primo capitolo

[in Mario+Rabbids Sparks of Hope è possibile scegliere non solo uno dei tre livelli di difficoltà, ma regolare capillarmente vari aspetti del gameplay, fino al punto di poter rendere invulnerabili i personaggi, ideale per i bambini più piccoli]

D: Il primo Mairo+Rabbids è stato un successo clamoroso, osannato da pubblica e critica, il che mi porta ad un paio di domande: ve lo aspettavate? Come avete passato i primi giorni dopo il lancio? E quanto tempo è passato dal lancio del primo fino a decidere di sviluppare Sparks of Hope?

R: In realtà è stato un processo continuo, dopo il primo abbiamo fatto il DLC e, visto il successo del primo, Nintendo ed Ubisoft hanno deciso quasi subito di sviluppare un seguito, è stata una progressione naturale, non c'è stato un vero e proprio stacco.

Per quanto riguarda il lancio del primo gioco, la sorpresa non è stata tanto il successo, ma ancor prima la presentazione all'E3 del 2017. Lì c'è stata la svolta.

Prima vivevamo un po' nel terrore, con un dubbio atroce: a noi piaceva tantissimo quel che avevamo fatto, ma ci chiedevamo "piacerà al resto del mondo?".

C'erano tutta una serie di questioni aperte, come ad esempio la dimensione tattica dei combattimenti, e non sapevamo se eravamo riusciti davvero a dargli quel gusto pop, quell'accessibilità che cercavamo e che non è banale per questo tipo di gioco.

In realtà sì è successo: boom, di colpo, all'E3 avevamo giornalisti e giocatori che ci stavano tributando un apprezzamento che era soprattutto empatico. 

La chiave secondo me è empatia, abbiamo sentito di colpo una valutazione che non era tanto tecnica, ma proprio emozionale [Andrea fa le vocine] wow come avete fatto, Mario e i Rabbids insieme, incredibile!

È stato lì che per il primo Mario+Rabbids abbiamo capito di esserci riusciti.

E adesso siamo come dei pugili dopo un incontro, abbiamo preso una quantità enorme di pugni in faccia e siamo ancora tutti storditi, ma stiamo leggendo le recensioni positive ed è come l'arbitro che ti alza il braccio, capisci di aver vinto, ma non sei sicuro finché non senti l'applauso del pubblico. 

Abbiamo ricevuto opinioni molto positive da voi giornalisti e siamo contenti, ma speriamo che il gioco piaccia anche alle migliaia di persone che ci giocheranno, speriamo di aver fatto qualcosa di buono e speriamo di far felici i giocatori.