Last Labyrinth, una sfida contro la pazienza (recensione VR)

Giorgio Palmieri
Giorgio Palmieri
Last Labyrinth, una sfida contro la pazienza (recensione VR)

Recensione Last Labyrinth – Cosa succederebbe se un giorno si trovassero insieme Stefanie Joosten (Quiet in The Phantom Pain), il musicista Hiroki Kikuta (SOULCALIBUR V, Secret of Mana) e un gruppo di veterani che hanno lavorato alle produzioni di Fumito Ueda? La risposta è Last Labyrinth. Ecco la nostra recensione di questo curioso videogioco in realtà virtuale.

Editore AMATA K.K.
Sviluppatore AMATA K.K.
Piattaforme PSVR, PCVR, Oculus Quest
Genere Rompicapo
Modalità di gioco Singolo giocatore
Lingua Testi in italiano
Prezzo e acquisto 44,99€

Tu non mi conosci, ma io conosco te

Il fatto che dietro allo sviluppo ci siano alcune delle menti che hanno realizzato titoli come ICO e The Last Guardian lo si nota sin dai primi istanti di Last Labyrinth, il quale si basa su una semplicissima quanto efficace premessa. Senza troppi voli pindarici, il giocatore è incatenato ad una sedia a rotelle e deve fuggire da un labirinto. Ad aiutarlo nell'impresa ci sarà la piccola Katia, che purtroppo parla una lingua incomprensibile. Bisognerà quindi farsi capire dalla ragazzina con il linguaggio del corpo, in maniera tale che possa comprendere cosa fare e quando farlo.

Il tema ricorrente della collaborazione tra esseri incapaci di dialogare normalmente, visto nei lavori di Fumito Ueda, torna in una produzione non sua, ma che vede, appunto, molti dei suoi collaboratori, i quali hanno voluto dare la loro personalissima visione in un contesto a realtà virtuale, sebbene il gioco sia meno attento alle emozioni, e più concentrato sullo studio degli enigmi.

Ciascuna stanza del labirinto, infatti, ospita un rompicapo che, se risolto, farà avanzare lungo l'avventura. In caso contrario, se darete la soluzione sbagliata, ammazzerà a seduta stante e senza pietà sia il giocatore che la bambina, con meccanismi degni del più pazzo tra gli enigmisti.

Si configura dunque come una classica esperienza statica di escape room, dove lo studio dello scenario è vitale per carpire il funzionamento dei marchingegni che separano dalla vittoria. L'interattività, del resto, prevede comandi essenziali: basta puntare l'elemento col quale desiderate interagire tramite l'apposito pulsante, aspettare che Katia lo raggiunga, annuire con la testa per confermare l’operazione, e attendere che la ragazza faccia la sua parte.

Questo sistema, per quanto possa far supporre un legame che cresce col passare delle ore, sguazza nella lentezza, e potrebbe sortire l’effetto opposto rispetto a quello sperato. Last Labyrinth cerca in tutti i modi di stabilire una connessione tra il giocatore e Katia, e lo si evince dalla gestualità della ragazzina e dalla cura di certe situazioni, ma è dura fare da figura paterna e protettrice ad una bambina che si muove lentamente, che vuole una conferma per ogni azione.

Non sentitevi in colpa: percepire il forte bisogno di calciorotare la bambina per fare tutto da soli, be’, è un sentimento lecito e giustificato. Per dire, anche chi ha tollerato la cocciutaggine di Trico in The Last Guardian vacillerà.

D'altronde, la struttura degli enigmi non fa sconti e, anzi, schiaccia sull'acceleratore della difficoltà sin da subito, e sembra fatta apposta per spingere alla ripetizione dello stesso, dando pochissimi indizi per la risoluzione. Questo farà la gioia di chi ama la sfida, anche perché la complessità è davvero encomiabile e richiede abilità logiche e d’osservazione da non sottovalutare: tra binari da ricomporre, tasti da premere nel giusto ordine e tasselli da colorare e altri da disattivare, Last Labyrinth riesce a spremere il cervello come pochi altri titoli in realtà virtuale.

Non è di certo un gioco che mette a suo agio l'utente, data l’impalcatura pregna di sfida che non spiega assolutamente nulla, e che già nella prima sessione mostra un primissimo finale che è solo un antipasto delle dieci ore promesse dagli sviluppatori.

L'atmosfera soffocante che si respira, poi, emana solitudine, con stanze elementari nelle tonalità cromatiche e nella conta poligonale (su PSVR/PS4 Pro), ma dalla definizione pulita e dall'intelligente messa in scena degli enigmi. Essenziale il lato audio, che spicca per l’indecifrabile seppur espressiva voce di Stefanie Joosten: i sottotitoli in italiano non servono praticamente a nulla, se non nei menù iniziali. Purtroppo il prezzo di lancio ci pare troppo salato in relazione al tipo di prodotto, venduto peraltro solo sui canali di distribuzione digitale.

Giudizio Finale

Recensione Last Labyrinth  Giudizio Finale – Last Labyrinth è un’esperienza che richiama i lavori di Fumito Ueda, ma in parte fallisce nel coltivare il tema della cooperazione tra esseri viventi incapaci di comunicare tra loro con semplicità. Il problema viene da un ritmo sconquassato, causato dalla lentezza della co-protagonista nell'agire a seconda di quelle che sono le istruzioni del giocatore. Coloro che sapranno superare questo scalino, tuttavia, troveranno un'esperienza impegnativa, intelligente, ricca di enigmi creativi, seppur alle volte frustrante.

PRO CONTRO
  • L'anima delle produzioni di Fumito Ueda...
  • Disegno intelligente degli enigmi...
  • Atmosfera soffocante
  • ... sporcata da un'eccessiva lentezza
  • ... che può indurre alla frustrazione
  • Prezzo di lancio salato

Trailer

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