Pixel Ripped 1989 – L'età è solo un numero (recensione VR)

Giorgio Palmieri
Giorgio Palmieri
Pixel Ripped 1989 – L'età è solo un numero (recensione VR)

Recensione Pixel Ripped 1989 – Che rapporto avete con la scuola? Ne siete usciti incolumi? La state ancora frequentando? Fatto sta che quando tra amici si tira fuori il discorso “ti ricordi quando a scuola…” e cominciano a partire i “eeeeeeh, che bel periodo!”, il mio intestino inizia a volteggiare senza nemmeno aver sentito altre parole, manco fossi stato chiamato ad un'interrogazione di matematica.

Capirete dunque che, nonostante l'indubbio fascino della realtà virtuale, l’idea di un videogioco ambientato a scuola non è che mi faccia saltare dalla gioia, anzi. Mai farsi condizionare dai pregiudizi, anche perché oggi parliamo soprattutto d'infanzia, e a quella difficilmente si può dire di no, quindi godetevi la nostra recensione di Pixel Ripped 1989, in uscita domani su PSVR, Oculus Rift e HTC Vive.

Editore ARVORE Immersive Experiences
Sviluppatore ARVORE Immersive Games Inc.
Piattaforme PSVR, Oculus Rift, HTC Vive
Genere Azione
Modalità di gioco Singolo giocatore
Lingua Inglese (sottotitoli assenti)
Prezzo e acquisto 24,99€ (PSVR) 19,99€ (Steam) - da confermare

Sentirsi vecchi

Pixel Ripped 1989 nasce dalla mente della brasiliana Ana Ribeiro, che ne è direttrice e in un certo senso anche protagonista. L’esperienza si presenta, senza mezzi termini, come “uno stravagante omaggio multi-dimensionale agli albori del videogioco”, intriso nella valuta più comune del mercato odierno, quella nostalgia per la quale siamo spesso assoggettati al volere degli editori.

Complotti a parte, la creatura firmata da ARVORE vi lancia nel bel mezzo dell’era delle console portatili a 8-bit, in un’avventura che segue le vicende di Dot, un personaggio di un videogioco il cui mondo è stato lacerato da Cyblin Lord, un goblin capace di sfondare la parete che separa il giocatore dal videogioco, per invadere il mondo reale a proprio piacimento. Per risolvere la situazione, un mago misterioso sceglierà una ragazzina delle elementari, della quale vestirete i panni, che dovrà semplicemente completare il videogioco tra le sue mani per poter salvare l'universo. Il problema? Be’, siete in classe, sotto gli occhi vigili di una maestra piuttosto inferocita.

Una storia insomma in cui la maggior parte dei videogiocatori può identificarsi, dove l’immaginazione prende il sopravvento e diventa realtà, proprio come desideravamo da bambini. In effetti, Pixel Ripped 1989 vuole farvi rivivere quelle sensazioni, quei desideri sopiti nei ricordi, nascosti ormai dalle responsabilità e dal caos quotidiano.

Scendendo più in profondità delle meccaniche, l'unico sistema di controllo supportato è il DualShock, che nell'ambiente virtuale si trasformerà in una console portatile. Chinando il capo, con il simil-Game Boy sotto al banco, potrete giocare in tranquillità, alimentando però il rischio di essere beccati dall'insegnante. Bisognerà quindi non dare nell'occhio, alzando la testa di tanto in tanto, facendo finta di ascoltare la lezione, e cercando di distogliere l’attenzione colpendo gli elementi dello scenario con una cerbottana fai-da-te, così da confondere la maestra.

Se in prima battuta l’obiettivo sarà quello di raggiungere la fine del livello nel videogioco sulla piccola console, successivamente l’avventura si sposterà sulla dimensione “reale”. La base rimane sempre quella di un gioco di piattaforme a scorrimento orizzontale, con qualche sprazzo di varietà messa sul piatto di tanto in tanto, guizzi che, ovviamente, rimandano a pilastri della storia videoludica, e a momenti d’infanzia, dei quali non vi parleremo per non rovinarvi la sorpresa, momenti vissuti presumibilmente dall'autrice della produzione.

Purtroppo l'escursione termina in meno di due ore, e salta di palo in frasca in una serie di sketch interattivi dalla giocabilità superficiale, per un totale di soli quattro livelli uniti da un flebile filo conduttore narrativo.

L’esperienza trova la sua massima espressione nell'imprevedibilità, nella curiosità instillata nel giocatore, ignaro di cosa succederà nello schema successivo, simile per certi versi a quanto assaporato in Evoland. Non a caso, il futuro progetto di Ana Ribeiro, nel caso in cui Pixel Ripped 1989 riesca a fare breccia nel cuore del pubblico, vorrebbe raccontare la genesi del videogioco.

Di fatto, però, di carne al fuoco al momento ce n’è davvero poca, e non basta inserire delle cartucce collezionabili, nascoste in ogni livello, per aumentare la rigiocabilità, in virtù dell’assenza di una sostanza vera e propria, in un viaggio che, alla fine della fiera, si regge quasi del tutto sulla nostalgia.

Peraltro, la fetta finale, quella dedicata all'ultimo boss, ci è parsa inutilmente diluita, un tentativo disperato per innalzare la longevità totale, che di sicuro avrebbe beneficiato della presenza di qualche livello in più.

Concludiamo spendendo due parole sul comparto tecnico che, almeno su PSVR, non brilla certo per pulizia visiva, proprio perché l'immagine deve sottostare alle seghettature, una delle croci della realtà virtuale. Artisticamente, tuttavia, Pixel Ripped 1989 centra il bersaglio, non solo per la sua veste deliziosa, frutto di una combinazione di modelli treddì e squisita pixel-art, ma anche e soprattutto per la scelta di stravolgere le proporzioni: l'intero mondo disegnato dagli artisti di ARVORE è enorme, proprio come se lo stessimo guardando dagli occhi di un bambino. Niente da dire sul lato audio, dai motivetti agli effetti sonori, che catturano alla perfezione quelli di un classico titolo ad 8-bit.

Giudizio Finale

Recensione Pixel Ripped 1989  Giudizio Finale – È palese che Pixel Ripped 1989 sia un desiderio divenuto realtà, un sogno che la sua ideatrice voleva portare a compimento, e questa genuinità percepibile è senza dubbio il suo maggiore pregio.

Fa sempre piacere vedere un pizzico di autorialità in questa industria, nella quale i prodotti sono realizzati da tantissime persone, e vedono la soggettività azzerata per forza di cose. Eppure, è altrettanto vero che l’offerta rasenti il minimo sindacale: c’è poco, e quel poco scivola via dalle mani, sorretto in larga parte dalla nostalgia. Umanamente, siamo contenti che esista, e siamo convinti che sia capace di smuovere qualcosa in voi, ma ci risulta difficile consigliarlo senza mettere le mani avanti.

PRO CONTRO
  • Esperimento curioso, unico
  • Artisticamente spassoso da vedere in azione
  • Termina in meno di due ore
  • Poca sostanza nella giocabilità

Recensione Pixel Ripped 1989 – Trailer

Recensione Pixel Ripped 1989 – Screenshot