State criticando The Crew Motorfest per i motivi sbagliati

Non chiamatelo clone di Forza Horizon 5. È molto di più
Giorgio Palmieri
Giorgio Palmieri
State criticando The Crew Motorfest per i motivi sbagliati

The Crew Motorfest deve senz'altro molto a Forza Horizon, questo è poco ma sicuro. Non è però un clone di Forza Horizon 5. Anzi, per certi versi, è anche meglio. Ecco, l'ho detto. Solo che Motorfest è realizzato da Ubisoft, un'azienda che in questo momento sta attraversando un periodo turbolento, tra cancellazioni e titoli ridimensionati (fa strano vedere il nuovo Assassin's Creed: Mirage venduto a prezzo quasi budget), e soprattutto critiche per i modelli di monetizzazione non avari di microtransazioni.

Ciò detto, The Crew Motorfest è proprio un bel gioco di guida. È talmente bello che sarebbe potuto diventare il mio gioco di corse arcade preferito, se non avesse qualche problema di troppo. La buona notizia è che potrebbe diventarlo, prima o poi. Parliamo di un corsistico di stampo open world, ambientato nelle bellissime Hawaii, dove si possono guidare tutti i tipi di veicoli: auto, moto, aerei e motoscafi, proprio come il suo predecessore, The Crew 2.

Il bello però lascia spazio anche al brutto. I suoi problemi non derivano dalle microtransazioni (che ci sono) o da particolari difetti che ne inficiano la qualità, nient'affatto, ma da alcune precise e scellerate scelte di design nella progressione che fatico a capire come mai siano state prese. Qualcuno potrebbe dire che "l'hanno fatto per spingerci a spendere soldi reali", ma in realtà non è propriamente così. Anzi, sono scelte che ti allontanano dall'anima dal gioco: non di certo l'effetto che vorrebbe Ubisoft.

Il problema di The Crew Motorfest

Non giriamoci attorno: il più grande problema di The Crew Motorfest è che, nella carriera, si gareggia con auto predefinite. Il che non ha molto senso, considerando che la forza dei corsistici open world è proprio quella di lasciarvi liberi di affrontare la competizione con la vostra sudata macchina, quella con cui avete stabilito una connessione, che magari avete modificato, personalizzato e potenziato a dovere.

Eppure, è Ubisoft a fornirvi una macchina in prestito, spesso e volentieri. 

Il gioco è diviso in "playlist" (15 per l'esattezza), ciascuna della quale gode di un tema preciso, che le caratterizza come nemmeno Forza Horizon 5 è riuscito a fare. Ce n'è una tutta dedicata alle macchine d'epoca, che trasforma l'interfaccia e disattiva il GPS, offrendovi solo degli indizi su dove andare. Un'altra ancora è tutta delle auto da corsa sperimentali, velocissime e leggerissime, mentre fa capolino una cucita sulle vetture monoposto, dove viene addirittura introdotto il cambio gomme. Bellissima poi quella per gli aerei, nella quale ci si diverte tra virate all'ultimo secondo e discese a perdifiato.

Sebbene sia possibile affrontare le playlist in qualsiasi ordine, il veicolo vi sarà sempre offerto dal gioco. Per alimentare ulteriormente la fonte di dubbi, alcune playlist esigono l'acquisto di un mezzo prima di potervi partecipare: ne va comprato proprio uno specifico (senza troppa fatica), che poi sarà utilizzato solo una volta (o poco più) nelle circa 10 gare che compongono ogni playlist.

Dopodiché, tornerà Ubisoft ad offrirvi veicoli in prestito.

Certo, una volta completati, gli eventi possono essere affrontati nuovamente con qualsiasi vettura. Non è però una progressione stimolante, non lo è affatto. Risulta troppo schematica e non dà spazio al cuore di Motorfest, o meglio, a quello che sarebbe dovuto essere il cuore di Motorfest, cioè il piacere di affrontare tutta la sua carriera nel modo consono ai propri gusti in materia di vetture.

Fa ancora più strano notare come il gioco continui a ricompensare con pezzi incrementali proprio come il precedente capitolo che, però, non possono essere installati sui veicoli in prestito. Queste sorte di "carte" a rarità crescente vanno ad aumentare i parametri del veicolo: purtroppo non c'è un riscontro visivo nelle migliorie, poiché agiscono solo sulle performance del bolide, aggiungendo anche effetti passivi, dall'incremento di dollari ottenuti a fine gara, all'aumento in percentuale della ricarica del turbo.

Come se non bastasse, la varietà che si respira nei primi vagiti dell'esperienza purtroppo non la si riscontra successivamente. Le 15 playlist sono troppo auto-centriche e mettono in secondo piano tutti gli altri veicoli: si gioca relativamente poco con moto, aerei e motoscafi, quando in realtà anche loro sono stati curati maniacalmente.

Il bello di The Crew Motorfest

Tuttavia, The Crew Motorfest è un piacere da giocare, oltre ad essere un grandissimo seguito del predecessore. È praticamente migliore in tutto rispetto a The Crew 2: la manovrabilità ha un gusto piacevolmente arcade ed è ben differenziata da veicolo a veicolo e l'intelligenza artificiale non soffre più del tremendo effetto elastico riscontrato in passato. Già questi due elementi migliorano sensibilmente l'esperienza generale, ma ci si mette ovviamente anche la "nuova generazione" a dare man forte.

Lo abbiamo testato su una PS5 dove lo stacco con The Crew 2 lascia sorpresi. Sia chiaro, la conta poligonale dei veicoli non è stupefacente come altri illustri colleghi, eppure l'impatto è una goduria e spostarsi con il viaggio rapido in un letterale battito di ciglia è fantastico.

Le Hawaii sono un bel teatro per le gare e, sebbene non riesca a raggiungere la magnificenza di Forza Horizon 5, la grafica regala dei bei momenti, anche in virtù del fatto che è possibile vivere la mappa via terra, aria e mare. Il mondo non è enorme come quello di The Crew 2, ma è di sicuro più vario e particolareggiato.

Insomma, Ubisoft ha costruito un sandbox di guida che farà impazzire i fan dell'arcade, nel bene e nel male. Le playlist assicurano più di 30 ore di divertimento, ma per quelle 30 ore sarete costretti a guidare veicoli in prestito, se desiderate affrontare la carriera in modo lineare, senza perdervi nelle attività secondarie. Il segreto è gustarsi anche quelle, specialmente se ci si butta online: tra gare Battle Royale in Destruction Derby (con un sorprendente sistema di danni estetici), Custom Race in cui è possibile cambiare veicolo e altre sorprese, la varietà di certo non manca, ma gli sviluppatori avrebbero dovuto pensare ad una progressione più smart, innalzando una carriera con più competizioni assortite, che potessero sfruttare e valorizzare al meglio quel senso di libertà che solo una serie come The Crew sa dare.

Speriamo che il supporto post-lancio sia all'altezza.

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